La bulimia nervosa

Speculare rispetto all’anoressia, ma diversa nei mezzi e negli effetti, la sindrome bulimica identifica nel cibo la parte mancante, quella che garantisce all’individuo sicurezza affettiva e protezione dagli eventi pericolosi. Se l’anoressia, con il digiuno, rivendica una propria scelta di eccellenza, spiritualità e infine di “morte” (morte della componente fisica), la bulimia sembra cercare conforto, invece, nel nutrimento, nella concretezza di un cibo abbondante capace di colmare ogni vuoto.

Ma la sensazione di “pienezza” è labile, anche perché non è data dalla bontà e dalla varietà dei sapori, ma da un triste e ossessivo “ingurgitare”, che non soddisfa e non sazia. Il vuoto non si colma ma si amplifica, venendo a coincidere con l’intero corpo – che non si sente nutrito ma invaso, quasi violentato da un agente estraneo dal quale deve liberarsi.

Il soggetto bulimico, che mangia senza piacere e senza trovare conforto nel cibo – se non temporaneamente – è un soggetto quasi sempre sensibile, poco aggressivo e incline a deprimersi. La bulimia, di solito, non viene apprezzata in quanto tale da chi ne è affetto (come succede invece per l’anoressia), ma viene vissuta come disordine; pertanto essa genera comportamenti neutralizzanti, di compensazione (vomito indotto, digiuni periodici, esercizi fisici sfibranti, uso di farmaci lassativi o diuretici), che possono rivelarsi più dannosi della sindrome stessa. Inoltre, poiché il soggetto riesce spesso a mantenere il suo peso abituale, si rischia di perseverare in quello stile di vita anche a lungo, senza che i familiari o gli amici si accorgano del grave pericolo.

Le conseguenze psico-fisiche, tuttavia, sono inevitabili: sensi di colpa, isolamento, coazione a ripetere le pratiche liberatorie (anche in presenza di episodi alimentari del tutto normali), perdita della concentrazione sul lavoro e nella vita familiare, indebolimento della volontà.

Purché si impegni, il bulimico può guarire, dal momento che i danni prodotti dalla sua specifica compulsione di rado conducono ad esiti gravi; anche qui sarà utile l’intervento del medico, ma più ancora quello dello psicoterapeuta, che condurrà il paziente alla ricerca delle sofferenze, delle difficoltà, dei dubbi che lo hanno spinto e ancora lo spingono a mascherare le domande più profonde, cercando false risposte nell’abbondanza di cibo: ma si tratta di un cibo che non può saziare, non essendo un rimedio alla fame ma un semplice, inefficace oggetto sostitutivo.